L’autopsia da cui sono tratte le immagini sui lupi proviene dall’attività di un progetto di ricerca per determinare quali sono le principali cause di mortalità di questa specie in natura, ed è stata svolta dal Servizio di fauna selvatica ed esotica del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università di Bologna.
Nel corso dell’intero progetto di ricerca, sono state eseguite autopsie su 212 lupi rinvenuti morti in natura, i cui risultati sono stati oggetto della pubblicazione dal titolo: “Men and wolves: Anthropogenic causes are an important driver of wolf mortality in human-dominated landscapes in Italy” (Global Ecology and Conservation Volume 32, December 2021, e01892). Professor Mauro Delogu
Le fotografie che compongono questo progetto sono state realizzate nella sala per le autopsie del Dipartimento Scienze Mediche Veterinarie (Servizio di fauna selvatica ed esotica) dell’Università di Bologna.
L’idea di questo progetto nasce da una frase del professor Mauro Delogu: A un certo punto dell’autopsia, è come se si potesse vedere chiaramente l’anima del lupo abbandonare il corpo e liberarsi.
La prima parte degli scatti rappresenta delle macrofotografie dell’interno del corpo di un lupo. Organi, tessuti, muscoli, peli e polpastrelli dell’animale sono stati fotografati durante un’autopsia eseguita dal professor Delogu il 19 febbraio 2021. In fase di postproduzione i colori delle immagini sono stati modificati.
Questo il risultato dell’autopsia:
Il giovane maschio di lupo, un anno di età circa, è deceduto a seguito di un investimento stradale, determinato anche a causa dello stato di intossicazione (avvelenamento da rodenticidi) in cui il lupetto si trovava, tanto da condizionarne il comportamento rendendolo meno attento e prudente nei confronti del contesto che lo circondava (strada trafficata da automobili). L’intossicazione l’ha indotto ad attraversare la carreggiata in corrispondenza dell’arrivo di un automezzo, scelta che gli è stata fatale. Dalle indagini svolte è risultato che l’84% dei lupi come lui, appartenenti alla specie Lupo Italiano (Canis lupus italicus), muore mediamente per cause antropiche, di cui il 34% per azioni di uccisioni illegali. Solo il 9,9% muore per cause naturali.
La seconda parte degli scatti vede la danzatrice Giulia Signorini realizzare una performance coreografica sul tavolo autoptico della sala, riproducendo le posizioni del corpo del lupo nel corso dell’indagine necroscopica.
Osservare l’autopsia di un essere selvatico a cui è stata tolta la vita per mano dell’uomo, è stata un’esperienza estremamente forte. Volevamo condividere con lo spettatore le emozioni e le riflessioni che questo evento ha prodotto in noi e che ci ha cambiati come persone ed esseri viventi.
IL CORPO DELL’ANIMALE VISTO DALL’INTERNO
Volevamo presentare una visione inedita allo spettatore, ma senza urtare la sua sensibilità con immagini crude e violente. Il protagonista di queste foto non voleva essere il sangue, ma la spettacolarità della perfezione del corpo di un animale. Un corpo che respira, si muove, interagisce con il mondo circostante e si adatta alle situazioni più impervie. Un corpo così perfetto da poter essere definito sacro, e per questo meritevole del più assoluto rispetto.
L’ANIMA CHE TORNA A ESSERE LIBERA
Il percorso parallelo è nella seconda parte degli scatti. Giulia rappresenta l’anima del lupo intrappolata in un corpo ormai inerme. Un’anima strappata alla vita non si rende conto subito di cosa sia successo: per questo si dimena, si divincola, prova a liberarsi. Non comprende ancora che deve abbandonare il corpo per tornare a essere libera. Ma quando finalmente riesce a lasciare sul tavolo le proprie spoglie mortali, allora può finalmente tornare alla sua vera natura.
L’INCONTRO TRA INTERNO ED ESTERNO
È nel cuore pulsante che queste due strade si incontrano, si uniscono. Il lupo - che qui è il simbolo di tutte le meravigliose creature che chiamiamo animali - per sopravvivere ha bisogno di essere visto da una nuova prospettiva, e diventare meritevole dello stesso rispetto che gli esseri umani concedono ai propri simili. Allo stesso modo, l’uomo ha bisogno che la propria anima ritorni a scoprirsi selvatica, istintiva, pura, se vuole riconnettersi con il mondo animale e così ritrovare l’armonia sia con sé stesso sia con ciò che lo circonda. Per questo alla fine del percorso fotografico abbiamo messo davanti agli occhi dello spettatore un cuore. Non di un animale, non di un uomo, ma il cuore di un essere vivente.
Perché questo siamo tutti: esseri viventi. Selvatici ed entrambi meritevoli di rispetto.